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Nagib Mahfuz

Narratore, drammaturgo, giornalista e sceneggiatore, è stato il solo scrittore arabo a essere insignito del premio Nobel per la letteratura, nel 1988. Nato al Cairo in una famiglia della piccola borghesia, ha raccontato nelle sue opere l’universo della sua amata città natale. Scrittore molto prolifico, nella sua lunga carriera ha dato alle stampe più di quaranta romanzi, una quindicina di raccolte di novelle, otto pièce e alcuni testi ribattezzati huwariyyàt, azioni dialogate, ossia “teatro da leggere” (v.). Tra gli autori egiziani che lo hanno maggiormente influenzato si ricordano Ibràhìm al-Màzinì, ‘Abbàs Mahmùd al-Aqqàd, Taha Husayn e Tawfiq al-Hakim (v.), e tra i  grandi nomi della letteratura mondiale, primi fra tutti i classici russi, francesi e inglesi, da Shakespeare, Shaw e Joyce, a Beckett, Camus e, in particolar modo, Proust e Sartre, Ibsen oltre a Darwin, Freud, Marx e Kant. Laureatosi in Filosofia, inizia negli anni ’30 a pubblicare racconti su alcune importanti riviste del tempo; quindi, fortemente attratto dalla civiltà dell’Egitto faraonico, si dedica alla stesura di romanzi storici in cui il raccontare vicende che si svolgono in quei giorni remoti è un mero sotterfugio per non incorrere nella censura. Egli, infatti, schermandosi dietro a eventi così lontani, mira a presentare la realtà dell’Egitto contemporaneo e a lanciare messaggi chiari ai suoi lettori. Ad esempio, ne La battaglia di Tebe (v.), laddove si narra della rivolta della popolazione locale contro gli Hyksos, si può percepire l’invito ai connazionali a ribellarsi ai Britannici, ancora presenti nel paese; mentre, nella figura del faraone Menenre II, protagonista del romanzo Rhadopis (v.), si può riscontrare un evidente riferimento a re Faruq, deposto nel 1952 dagli “Ufficiali Liberi”, tra i quali Nagib, Nasser e Sadat. In seguito a questa fase storica, Mahfuz scriverà storie ambientate nel presente, specialmente al Cairo, città da lui intensamente amata. Comincia, così, per la sua attività letteraria, il periodo “realista”, che durerà fino all’inizio degli anni Sessanta e durante il quale saranno dati alle stampe i romanzi Khan al-Khalìlì (1945), al-Qahira al-giadìda (Il nuovo Cairo, 1946) e Vicolo del Mortaio (v.), nomi di antichi quartieri della capitale egiziana. Ma il suo capolavoro, durante questa fase, è La Trilogia (v.), che lo ha consacrato nell’universo letterario arabo e, successivamente, internazionale. Dagli anni Sessanta Mahfuz pian piano abbandona il realismo per privilegiare il simbolismo e l’analisi psicologica dei personaggi, accanto a un sempre maggiore impegno socio-politico e all’utilizzo di nuove tecniche narrative che si rifanno al  modernismo. Di questi anni sono i romanzi Chiacchiere sul Nilo (v.), Il ladro e i cani (v.), La quaglia e l’autunno (v. Autunno egiziano), La ricerca (v.), Il mendico (v.) e Miramar (v.), nonché le raccolte di racconti brevi come Dunya Allàh (Così va ilmondo, 1963), La taverna del gatto nero (v.), Tahta al-mizalla (Sotto la pensilina, 1969), Hikàya bi-là bidàya wa là nihàya (Storia senza capo né coda, 1971), e altri. L’intensa attività letteraria di Mahfuz si è interrotta due volte: nel 1952, in occasione della rivoluzione degli “Ufficiali Liberi”, e nel 1967, in seguito alla “guerra dei sei giorni”. Lo scrittore è stato vittima, nel 1994, di un attentato da parte di un integralista islamico, per aver pubblicato in Egitto il romanzo I ragazzi del nostro quartiere (v. Il rione dei ragazzi) che, nel lontano 1959, aveva destato scandalo in patria, tanto da riapparire soltanto vari anni dopo in Libano. Nelle sue opere Mahfuz ricorre alla lingua araba classica e a uno stile alto, ricco, ma anche scorrevole e alla portata di tutti. Sicuramente questi elementi hanno facilitato la divulgazione dei suoi testi. La sua fama, inoltre, è stata ulteriormente accresciuta dai tanti film tratti dalla sua vasta produzione narrativa. Lo scrittore si è spento a 94 anni dopo una vita spesa a raccontare l’Egitto nelle sue molteplici sfaccettature. “Mahfuz, di fronte al rapido evolversi dei mutamenti politici, da attento spettatore di quello che succede nel proprio paese, ha saputo abilmente trasferire la realtà di settant’anni di storia egiziana nella finzione dei suoi vari racconti e romanzi” (da I. Camera d’Afflitto, Mahfuz: mediterraneità, non esotismo, in “Studi in onore di Nagib Mahfuz premio Nobel per la letteratura 1988”, p. 430, v.). 

 

Opere in italiano:

Akhenaton, il faraone eretico
Traduzione di C. Palmarini, Roma, Newton & Compton editori, 2001, pp. 190.
Titolo originale: Akhenaton, al-‘à’ish fi al-haqìqa (lett.: Akhenaton, colui che vive nella verità, 1985).

Nel romanzo si narra del giovane egizio Miri-Mon, il quale intraprende un viaggio verso Tebe, dove ha intenzione di scoprire chi realmente sia stato il defunto faraone Akhenaton. Quella del ragazzo è la ricerca, insieme, della verità e della conoscenza attraverso un’indagine minuziosa e scientifica che lo porterà a incontrare vari personaggi conosciuti dal sovrano, tra cui la sposa Nefertiti. Ciascuno dei protagonisti esprimerà il proprio giudizio sul faraone considerato eretico e la propria versione dei fatti narrati.  

Autunno egiziano
Roma, Newton & Compton editori, 2009, pp. 128.
Titolo originale: al-Summàn wa ’l-kharìf (lett.: La quaglia e l’autunno, 1962). 

Un membro del partito nazionalista Wafd, perde ogni prestigio acquisito quando scoppia la rivoluzione degli “Ufficiali Liberi” nel luglio 1952, che pone fine alla monarchia, e condurrà a un nuovo ordine politico che avrà conseguenze non solo per l’Egitto ma per tutto il mondo arabo. Indeciso se rimanere fedele al passato o abbracciare il presente, il protagonista del romanzo andrà incontro a decisive prove di vita.

Canto di nozze
Traduzione di V. Colombo, Milano, Feltrinelli, 2003, (2006, pp. 131).
Titolo originale: Afràh al-Qubba (lett.: I festeggiamenti del quartiere di al-Qubba, 1981).

Il protagonista di questo romanzo, il giovane Abbas, appartenente a una famiglia di autori e attori di teatro, nel suo primo dramma rappresenta la realtà vissuta all’interno delle proprie mura domestiche, dal gioco d’azzardo alla droga, e così via. La vicenda è narrata da quattro diversi punti di vista: da Abbas stesso, dal padre, dalla madre e da un amico. Questa tecnica di rappresentare un evento, visto da quattro o più angolazioni, sarà ripresa in molti altri romanzi dello scrittore.

Chiacchiere sul Nilo
Traduzione di T. Dragotti, E. Landi, Napoli, Pironti, 1994, pp. 155.
Titolo originale: Tharthara fawqa al-Nil (1966).

Uomini e donne appartenenti alla  media e alta borghesia si ritrovano nella capitale egiziana, su uno dei tanti barconi galleggianti del Lungo Nilo, a parlare delle proprie esperienze e della vita in generale. Al centro del gruppo, la figura di un tipico burocrate egiziano, schiacciato dalle frustrazioni della vita e dal desiderio di affermazione. Le lunghe ore di ozio e di corruzione morale a cui si abbandonano i protagonisti, culminano in  un tragico incidente. Secondo molti critici questo è uno dei romanzi brevi in cui l’autore dimostra con maestria di saper sondare l’animo umano.  

Echi di un' autobiografia
Traduzione e Postfazione di A. Lamarra, Prefazione di N. Gordimer, Pironti, Napoli 1999, pp. 122.
Titolo originale:  Asdà’ al-sira al-dhatiyya (1994).

Parabole, aforismi e allegorie: tali sono i testi, spesso brevissimi, che compongono il volume. Ha scritto Nadine Gordimer nella sua prefazione all’opera: “Quale che sia la nostra personale ermeneutica, è impossibile leggere quest’opera senza che in noi si faccia strada, con gioia profonda e gratitudine, una nuova comprensione di un valore che i tempi moderni hanno reso quasi anacronistico, giacché si tende a credere che il suo posto possa essere preso dall’informazione. Lo pronuncio lentamente: saggezza. Mahfuz la possiede. Essa ondeggia davanti ai nostri occhi, squarciando il mistero.[…]”

Il caffè degli intrighi
Traduzione e Introduzione di D. Amaldi, Salerno, Ripostes, 1988, pp. 96. (Tascabili 1990).
Il romanzo è stato poi ripubblicato con il titolo: Karnak Café. Traduzione di C. Vatteroni, Roma, Newton & Compton editori, 2008, pp. 126. 
Titolo originale: al-Karnak (1974).

Questo è il primo libro di Mahfuz tradotto in italiano, quando lo scrittore non era ancora stato insignito del premio Nobel. È un breve romanzo ambientato al Cairo nel 1967, all’epoca della “guerra dei sei giorni”. La vicenda ruota intorno agli habitué del caffè di Qaranfula, un tempo famosa danzatrice del ventre, che passano il loro tempo tra una tazzina di caffè, una fumatina di narghilé e tante chiacchiere. La voce narrante svela i retroscena della strana sparizione di tre giovani frequentatori del bar, accusati di appartenere all’area della dissidenza.

Il giorno in cui fu ucciso il leader
Traduzione [dall’inglese] di L. Giuliani, Roma, Newton & Compton editori, 2005, pp. 136.
Titolo originale: Yawm qatl al-za‘ìm (1985).

Il 6 ottobre 1981 fu assassinato il Presidente della Repubblica egiziana Anwar al-Sadat. La trama di questo romanzo è intessuta con grande perizia intorno a quell’importante evento che ha segnato la storia del paese. Protagonista della vicenda è una famiglia della media borghesia cairota che  vive in una società completamente mutata dalla politica economica di apertura agli investimenti esteri (dell’infitàh), voluta e perseguita con tenacia dal presidente assassinato.

Il ladro e i cani
Traduzione di V. Colombo, Milano, Feltrinelli, 1989. Tascabili Feltrinelli, 1999, pp. 139.
Titolo originale: al-Liss wa ’l-kilàb (1961).

È l’opera con cui inizia la fase simbolista nella produzione letteraria dello scrittore egiziano. Il protagonista è un uomo imprigionato per furto che, scarcerato in seguito ad amnistia, ha un unico scopo, quello di vendicarsi di colui che, a suo avviso, lo aveva denunciato quattro anni prima e che, nel frattempo, aveva sposato sua moglie. Disilluso e deluso da coloro che ama, anche dall’ammirato maestro che gli aveva insegnato principi rivoluzionari, e che poi era diventato un ricco giornalista indifferente alla verità, il protagonista, disperato, commette due omicidi, uccidendo per errore due persone innocenti. Infine, è catturato dai poliziotti che con i cani gli danno la caccia. Il romanzo è stato molto apprezzato dai critici arabi e occidentali per l’analisi psicologica e per lo stile evocativo e poetico.  

Il mendico
Traduzione di G. Perretti, Napoli, Tullio Pironti Editore, 1993, pp. 188.
Titolo originale: al-Shahhàdh (1965)

Il romanzo appartiene alla fase sperimentale dell’attività letteraria di Mahfuz in cui l’autore riserva grande attenzione alla interiorità e alla psicologia dei personaggi, unita all’uso intelligente e calibrato del flashback, del monologo interiore e del flusso di coscienza. L’opera narra la storia di un avvocato dall’esistenza serena che, improvvisamente, perde interesse nella vita e cerca rifugio in piaceri efffimeri e, in seguito, nel misticismo, per poi condannarsi a condurre i propri giorni da emarginato, lontano dal mondo. 

Il miraggio
Traduzione di R. Di Meglio, Napoli, Tullio Pironti Editore, 2001, pp. 382.
Titolo originale: al-Saràb (1948) 

Da alcuni critici è stato considerato il primo romanzo a sfondo psicologico di tutta la narrativa egiziana. Il legame tra una madre sola, abbandonata dal marito, e il figlio, si risolve nel drammatico destino del giovane che non riuscirà a vivere pienamente la propria esistenza. 

Il nostro quartiere
Traduzione di V. Colombo. Milano, Feltrinelli, 1989 (1^ ed. ne “I Narratori”; 1991, 1^ ed. “Universale Economica”; 11^ ed. 2006), pp. 143.
Titolo originale: Hikàyàt hàratinà (lett.: Storie del nostro quartiere, 1975).

L’opera è suddivisa in 78 quadri in cui a riportare e a rievocare fatti e vicende accaduti in un quartiere del Vecchio Cairo è la voce narrante di un fanciullo. Tanti e diversificati i temi, personali, come quello della circoncisione, o quelli più generali, come la Rivoluzione nazionalistica del 1919. Dalla quarta di copertina: “L’io narrante […] diventa così il cantore di gioie, passioni, ansie, soprusi, paure e disperazioni che consentono all’umanità che popola il dedalo di viuzze […] di trasformare quel microcosmo nell’effigie dell’universo”. 

Il rione dei ragazzi
Traduzione di M. Murzi, Genova, Marietti, 1991, pp. 420
Titolo originale: Awlàd hàratinà (lett.: I ragazzi del nostro quartiere, 1959)

Opera che alla sua pubblicazione suscitò grande scandalo. Vi si ripercorre la storia dell’umanità fin dalla Creazione che, nel romanzo, è attribuita al Vecchio della montagna. È così che, al Cairo, in un tempo indefinito, ritroviamo figure importanti da una prospettiva religiosa, da Dio ad Adamo ed Eva a Muhammad, l’inviato di Dio nell’islam e a Gesù, che in ambito islamico è considerato un profeta. Il romanzo è suddiviso in 114 capitoli, come il Corano lo è in altrettante sure. Scrive Daniela Amaldi: “È una dichiarazione di Fede nelle scienze e nel socialismo che, sostituiti alla religione, sono gli unici mezzi con cui la società odierna potrà raggiungere la pace e la giustizia” (dall’introduzione al Caffè degli Intrighi). 

Il settimo cielo
Traduzione di E. Francesca, Napoli, Tullio Pironti Editore, 1997, pp. 233.
Titolo originale: al-Hubb fawqa hadbat al-haram (L’amore sulla collina della piramide, 1979).

Raccolta di novelle contenente testi di varia lunghezza in cui l’autore spazia in ambiti fantastici, muovendosi tra creature terrene e ultraterrene, umani sentimenti e assunti esoterici. Da questi tredici racconti traspare un aspetto ancora poco esplorato dell’universo narrativo dello scrittore che si abbandona con ingegnosità ai temi legati al soprannaturale e all’aldilà.

Il tempo dell’amore
Traduzione di T. Dragotti e E. Landi, Napoli, Tullio Pironti Editore, 1990, pp. 126. 
Titolo originale: ‘Asr al-hubb (1980).

Romanzo con un esplicito richiamo alla narrativa orale, incentrato sulla figura di una donna ricca e generosa, considerata da tutti “la madre” del vicolo in cui si svolge la vicenda. Al carattere della protagonista si contrappone quello del figlio, molto diverso da lei sul piano morale. Il giovane, infatti, tradirà il suo unico grande amico, inviando una lettera anonima alla polizia per denunciarlo come membro di un’organizzazione politica clandestina. La bassezza del gesto sarebbe “giustificata” dalla speranza del giovane di conquistare la bella ragazza di cui entrambi sono innamorati. 

La battaglia di Tebe
Traduzione di A. Pagnini, Roma, Newton & Compton, 2001, pp. 223.
Titolo originale: Kifàh Tiba (1944)

Romanzo del periodo “faraonico”. Nel XVI secolo a.C., il faraone Ahmose guida la rivolta della propria gente contro i dominatori Hyksos che tengono gli Egizi in pugno da ormai due secoli. In questo romanzo sono raccontate le varie fasi dell’epica lotta, mentre sullo sfondo si svolge la tenera storia d’amore tra Ahmose e la principessa nemica Ameniridis.  

La maledizione di Cheope
Traduzione di C. Palmarini, Roma, Newton & Compton, 2001, pp. 207.
Titolo originale: Abath al-aqdàr (lett.: Lo scherzo del destino, 1939).

È il primo romanzo “faraonico” dello scrittore egiziano. A Cheope viene predetto che, dopo di lui, nessuno della sua stirpe regnerà sull’Egitto. Da questo momento ha inizio la ricerca del suo successore che è stato designato dal Fato. Cheope crederà di avere scongiurato il pericolo che incombe sulla sua stirpe,  ma il bambino destinato ad essere il nuovo faraone, appartenente ad un’altra stirpe, si salverà.

La ricerca
Traduzione di M. Bellini, Napoli, Tullio Pironti Editore, 2005, pp. 157.
Titolo originale: al-Tarìq (1964).

Sabir è il protagonista di questa amara storia: la madre, un’ex prostituta, sul letto di morte gli rivela l’identità del padre. Spinto dal desiderio di ritrovare il genitore, il giovane inizia una lunga ricerca, durante la quale s’imbatte in due donne di cui si innamora, anche se in maniera diversa. Le circostanze lo condurranno a commettere un duplice omicidio. Si tratta di un’opera che affronta alcuni tra i temi più cari allo scrittore, tra cui quello religioso. 

La taverna del gatto nero
Traduzione di C. Sarnelli Cerqua, Napoli, Tullio Pironti Editore, 1993, pp. 207.
Titolo originale: Khammàrat al-qitt al-aswad (1969).

Raccolta di novelle dominate, per la maggior parte, da atmosfere “assurde”. Per ammissione dello stesso scrittore, dopo la “guerra dei sei giorni”, dopo essere stato semplice lettore del teatro dell’assurdo, ha iniziato a far uso, anche in campo narrativo, di tematiche e forme che si ascrivono a questo genere teatrale. (v. Il teatro di Nagib Mahfuz).  

La via dello zucchero
Traduzione di C. Sarnelli Cerqua. Napoli, Pironti, 1992, pp. 454. v. Trilogia.

L’epopea dei Harafish
Traduzione di C. Sarnelli Cerqua, Napoli, Pironti, 1999, pp. 562.
Titolo originale: Malhamat al-Haràfìsh (1977).

Al centro di questa storia avvincente è la famiglia dei Nagi che, sorta dal nulla, conoscerà incredibili rovesci di fortuna. Un membro di questa dinastia  riesce a conquistare il dominio sul vicolo in cui abita e, pur imponendo il pizzo ai negozianti e facendo ricorso ad altre pratiche illegali, governa con senso di equità, aiutando i poveri e i bistrattati di questo interessante microcosmo. L’opera si offre a molteplici interpretazioni, tra le quali la più affascinante è quella secondo cui  la storia qui presentata sia in realtà l’epopea dell’uomo che, come si intuisce, può trovare vero conforto e vera giustizia soltanto affidandosi alla spiritualità. 

Karnak Café
Traduzione di C. Vatteroni, Roma, Newton & Compton editori, 2008, pp. 126. Titolo originale: al-Karnak (1974). v. Il caffè degli intrighi.

Miramar
Traduzione di I. Camera d'Afflitto e I. Rifaat. Introduzione di I. Camera d'Afflitto, Roma, Ed. Lavoro, 1989. Tascabili Feltrinelli, 1999, pp. 190.
Titolo originale: Miramar (1969).

Con Autunno egiziano (v.) è uno dei due romanzi “alessandrini” di Nagib Mahfuz che ha ambientato la quasi totalità delle sue numerose opere nell’amata città natale, Il Cairo. Il pretesto narrativo di Miramar (nome di una pensione di Alessandria) è fornito da un evento di cronaca nera del quale quattro personaggi danno, ciascuno, la propria versione. La trama si arricchisce di nuovi elementi, man mano che i protagonisti raccontano la vicenda dalle diverse angolazioni. Tuttavia, come sottolinea la traduttrice nella sua introduzione: “La vera protagonista è Alessandria, un’Alessandria piovosa e fredda che sta vivendo l’epilogo della presenza europea: gli ultimi stranieri si affrettano a partire, cercando di vendere tutto agli egiziani per abbandonare la città. I quartieri popolari arabi come Anfushi, Sidi Gaber, Karmuz, Cleopatra – tanto amato da Fausta Cialente – rivivono accanto ai luoghi indissolubilmente legati alla presenza occidentale: la Corniche, lo Sporting Club, i grandi alberghi della belle époque, il Cecil, il Windsor, la tea-room Trianon, le pasticcerie greche Pastroudis e Atheneos…”


Notti delle mille e una notte
Traduzione di V. Colombo, Milano, Feltrinelli, 1997, pp. 219 (2002, pp. 224).
Titolo originale: Layàli alf layla (1982).

In quest’opera il lettore ritrova i protagonisti de Le Mille e una notte. Il romanzo ha inizio dall’esatto punto in cui termina la raccolta di fiabe, ossia quando il re, Shahriyàr, ammaliato dalla favella della giovane sposa Shahrazàd, guarisce dalla sete di vendetta che lo animava. Ma lo è davvero? È pronto a governare con giustizia, così come aveva abituato il proprio popolo in passato? Questo testo è soprattutto un’indagine sull’effettivo potere di redenzione della parola e, ancora, sul rapporto tra letteratura e politica. 

Principio e fine
Traduzione di O. Vozzo, Napoli, Tullio Pironti Editore, 1994, pp. 422.
Titolo originale: Bidàya wa nihàya (1949).

Il romanzo, ambientato negli anni Trenta, narra la storia tragica di una donna e dei suoi quattro figli, rimasti improvvisamente orfani del padre. Ciascuno di loro vede così frustrata ogni ambizione e speranza in una vita migliore, al punto che due di loro decideranno tragicamente di suicidarsi gettandosi nelle acque del Nilo.

Racconti dell’antico Egitto
Traduzione [dall’inglese] di C. Orlando, Roma, Newton & Compton editori, 2004, pp. 109.

È una raccolta di cinque novelle ambientate all’epoca faraonica e scritte tra il 1936 e il 1945. Mahfuz vi affronta le tematiche più svariate, passando in rivista, ad esempio, le vicende di un uomo fautore di una società ideale, continuando poi con la storia del pronipote di Cheope che, tornando in patria dopo lungo tempo, si rende conto che soltanto il suo cane gli è rimasto fedele. Si parla anche di Sinuhe e di mummie che si risvegliano.

Rhadopis, La cortigiana del faraone
Traduzione di S. Bertonati, Roma, Newton & Compton editori, (2003), pp. 271. (Mondadori 2004)
Titolo originale: Ràdùbìs (1943).

Intensa storia d’amore tra Menenre II e la bellissima Rhadopis  Così come accade negli altri suoi romanzi “faraonici”, qui l’intento dell’autore egiziano è quello di mettere a nudo la realtà del proprio tempo, nascondendo dietro alle figure centrali della narrazione importanti personaggi a lui contemporanei.

Tra i due palazzi
Traduzione e Introduzione di C. Sarnelli Cerqua. Napoli, Pironti, 1989, pp. 653. v. Trilogia.

Trilogia, (al-Thulàthiyya)
Il palazzo del desiderio. Traduzione di B. Pirone. Napoli, Pironti, 1991, pp. 598.
La via dello zucchero. Traduzione di C. Sarnelli Cerqua. Napoli, Pironti, 1992, pp. 454.
Tra i due palazzi. Traduzione e Introduzione di C. Sarnelli Cerqua. Napoli, Pironti, 1989, pp. 653.

Questi romanzi compongono la celebre Trilogia  (al-Thulàthiyya), apparsa tra il 1956 e il 1957, ma già terminata alcuni anni prima. Le vicende della famiglia ‘Abd al-Giawwàd sono narrate, nell’ordine, in Tra i due palazzi (Bayn al-Qasrayn), Il palazzo del desiderio (Qasr al-Shawq) e La via dello zucchero (al-Sukkariyya); tutti nomi che richiamano alla mente strade del vecchio Cairo, di cui l’autore era un appassionato e profondo conoscitore, oltre che amante.
Come scrive Clelia Sarnelli nell’introduzione a Tra i due palazzi: “Mahfuz con grande realismo descrive, nei minimi particolari, la vita giornaliera e gli stati d’animo dei vari membri della famiglia del sayyed Ahmad, presentandoceli non solo in una dimensione privata ma anche in relazione agli avvenimenti esterni e fornendo così un quadro quanto mai vivo della realtà del tempo, inserito nella cornice storica di un particolare periodo, quello della lotta per ottenere l’abolizione del protettorato inglese e l’indipendenza dell’Egitto. Prendono così forma e si vanno delineando agli occhi del lettore, emergendo dal racconto come tessere di un compiuto mosaico, i diversi personaggi legati alla famiglia: gli amici più intimi, i commercianti del vicolo, le domestiche di colore, i parenti che ruotano tutti attorno al personaggio principale del romanzo. Sayyed Ahmad, il capofamiglia, diventato il simbolo di un certo modello di vita, è un padre-padrone forte del suo ruolo e della fedeltà a una tradizione cui, pur nel mutar dei tempi, non si rassegna a rinunciare anche se convinto, nel profondo del suo intimo, di essere l’ultimo dei «sopravvissuti» rispetto all’adeguamento ai nuovi costumi di vita accettati perfino dai suoi stessi familiari. […] Lo stile dell’autore può apparire a volte, a un lettore europeo, un po’ ridondante, ma le forti emozioni, l’allegro e pungente umorismo e le particolari espressioni usate fanno parte della vita quotidiana dell’Egitto”.
L’autore, in questo come in tutti i suoi romanzi, ricorre a una lingua apparentemente molto spontanea, ma che rivela una maturità espressiva che si può far risalire al patrimonio arabo del passato con un’impressionante ricchezza di vocabolario.
Come si evince dalla quarta di copertina de La via dello zucchero, tratta da un articolo di Alberto Bevilacqua pubblicato sul «Corriere della sera»: “Pur proponendosi di raccontare la storia dell’Egitto attraverso le vicende di una famiglia dai primi del ‘900 al golpe militare del ’52, Mahfuz procede come si dice, ‘per sottrazione’, e più l’intrigo sociale e politico si fa bizantino e complesso, più egli opta per i particolari chiari, decifrabili, soffusi di quel mito mediterraneo che da millenni è la chiave di lettura di una civiltà dell’agire e del sentire che vede nel protagonista principale, Kamal, il suo interprete senza tempo: contemporaneo fino a una drammaticità in cui il lettore si identifica e insieme talmente “antico” da spingerci nell’esotismo fiabesco”.

Un uomo da rispettare
Traduzione [dall’inglese] di M. Luger, Roma, Newton & Compton editori, 2006, pp. 256.
Titolo originale: Hadrat al-muhtaram (1975).

Un semplice aiuto-archivista, appena assunto, inizia a sognare di poter salire fino al più alto gradino dell’istituzione governativa per la quale lavora. Prende così avvio l’avventura, ma anche l’odissea, di quest’individuo, il quale sacrifica tutto sull’altare del lavoro e dell’affermazione personale. 

Vicolo del mortaio
Traduzione di P. Branca, Milano, Feltrinelli, 1989. Tascabili Feltrinelli, 1999, pp. 251.
Titolo originale: Zuqàq al-Midàqq (Cairo, 1947).  

Il romanzo è ambientato all’epoca dell’Egitto ancora sotto il dominio britannico. La trama si snoda nel microcosmo del popolare Vicolo del Mortaio, gremito di persone che, con i loro vizi, più che con le loro virtù, contribuiscono a renderlo un mondo variegato e vivace, nonostante la miseria e l’oppressione. Tra i personaggi che popolano questo microcosmo si ricordano un cinico e avido sfruttatore di mendicanti; il proprietario omosessuale e drogato del caffè, punto di ritrovo degli abitanti del vicolo; il giovane barbiere, innamorato di Hamida, la bella ragazza dal carattere ribelle che desidera solo fuggire dal povero quartiere in cui è nata, e che l’autore trasforma nel simbolo della volontà di ribellione contro l’immobilismo della tradizione.

Opere Teatrali:

Il teatro di Nagib Mahfuz. “Introduzione e traduzione dei testi”
A cura di V. Strika, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1994, pp. 219.

Questo volume raccoglie gli otto atti unici prodotti dall’autore egiziano. I primi cinque, Vivere o morire (Yuhi wa yumit), L’eredità (al-Tarìka), La salvezza (al-Nagiàh), Piano da discutere (Mashru‘ li ’l-munàqasha) e Il dovere (al-Mahamma) apparvero inizialmente sul quotidiano cairota «al-Ahràm» e, successivamente, nella raccolta di novelle Sotto la pensilina (Tahta al-mizalla, scritta nel 1967 e apparsa nel 1969). In essi sono stati ravvisati elementi del teatro dell’assurdo, presenti altresì ne L’inseguimento (al-Mutàrada), pubblicata nella raccolta di racconti Il crimine (al-Giarìma, 1973). In tutte queste pièce, i personaggi non hanno nome. Un terzo volume di novelle, Satana predica (al-Shaytàn ya‘iz, 1979), contiene, invece, l’omonimo dramma, ispirato al racconto La città di rame  delle Mille e una Notte. L’opera è una condanna dell’integralismo e del culto della personalità, nonché dell’uso improprio che la scienza può fare del potere autoritario. L’atto unico dal titolo Il monte (al-Giabal) è anch’esso una lettura critica del fondamentalismo politico e religioso.  

Il dovere
Un giovane  si sente perseguitato da un uomo che incontra ovunque vada. In quest’opera compaiono altri due personaggi che chiedono al protagonista di scegliere fra la libertà, la giustizia e la misericordia oppure tra la giustizia e la giovinezza. Essi lo sottopongono, in effetti, a una sorta di processo, accusandolo di non aver assolto a una missione affidatagli. Il protagonista, che viene anche violentemente picchiato, non capisce di quale colpa si sia in realtà macchiato, e si ritrova coinvolto in un incubo che ci ricorda Il processo di Kafka.

Il monte
L’azione si svolge all’interno di una caverna situata su un monte. I protagonisti sono cinque giovani che giudicano tutti coloro che hanno commesso crimini contro la società, e li condannano a morte. Con il passare del tempo quattro di questi giovani iniziano a porsi dei quesiti sul proprio operato, e arrivano ad eliminarsi a vicenda. Il loro capo, Assàf, si ritrova, infine da solo a dover seppellire i compagni e la fidanzata, anch’essa uccisa dagli amici. L’opera si chiude sulle parole di ‘Assàf: “Ai piedi del monte, nell’oscurità profonda per umiliare la mia ebbra pazzia, vai, o spettro, incontro al vuoto con un vuoto più profondo, godendo delle sfide, solo e senza scopo, guardando dall’alto i colpi dell’ignoto e gli eventi nascosti, godrò del dolore, del riso e del ricordo dei sogni più belli”.

La salvezza
La protagonista è una donna perseguitata perché ha provocato una rivolta, e che si rifugia nella casa di uno sconosciuto. Nell’attesa dell’arrivo della polizia che è sulle sue tracce, tra i due si instaura un rapporto dominato dal sesso. La coppia di amanti che il caso ha riunito tragicamente, si abbandona all’alcol. La donna, alla fine, prima di essere catturata, si suicida, mentre nel resto del paese infuria la rivoluzione.   

L’eredità
La vicenda si svolge nell’abitazione di un “santo”, di un uomo pio, il quale, prima di morire, convoca il figlio, scapestrato e cialtrone. Il giovane accorre, accompagnato dalla moglie, che lo sostiene nella vita disordinata, pur biasimandolo a tratti per non aver accettato gli insegnamenti del padre. L’incontro tra genitore e figlio non ha luogo, ma il giovane viene a sapere di dover prendere possesso dell’eredità, cosa che, in effetti, egli si augurava; gli vengono consegnati molto denaro e dei libri di saggezza, libri che egli rifiuta. La sua eredità in denaro, però, gli è immediatamente sottratta da un uomo che entra in casa spacciandosi per un ispettore di polizia e che, accusandolo di aver ucciso il padre e di non aver dato allo Stato quanto a esso spetta, riesce, ricorrendo prima all’astuzia e poi alla violenza, a impadronirsi di tutta la somma di denaro, non prima di aver legato il giovane e sua moglie. Seguono inutili tentativi di liberarsi da parte della coppia, che non è neppure aiutata dal servitore del santo: questi si rifiuta di farlo perché, altrimenti, disobbedirebbe al suo signore, che gli aveva ordinato di non soccorrere il figlio, se questi non si fosse preso cura dell’eredità. Il mattino dopo, i due sono slegati da un ufficiale con, al seguito, un segretario e un architetto, il quale vorrebbe acquistare il fabbricato. In quest’uomo i due giovani riconoscono il ladro e, benché cerchino di smascherarlo, alla fine sono costretti ad ammettere di essersi sbagliati. Il finale è aperto, ma tutto lascia presupporre che l’erede si accorderà con l’architetto, mentre avrà inizio l’inchiesta per stabilire l’identità del ladro.   

L’inseguimento
I personaggi principali sono due ragazzi, detti il Rosso e il Bianco, dal colore delle maglie che indossano, i quali vengono inseguiti da un uomo che compare periodicamente procurando loro profondo turbamento, apparentemente senza ragione. La vicenda esistenziale dei due protagonisti è ripercorsa nelle varie fasi della vita sino alla vecchiaia, quando, lasciata la prima moglie, condivisa dai due, si sposano con una stessa giovane. La critica ha visto in quest’opera la messa in scena della continua lotta tra l’uomo e la Morte che ossessivamente perseguita, dà la caccia, insegue l’essere vivente, il quale, a sua volta, dalla fanciullezza alla vecchiaia tenta con ogni mezzo di sfuggire al proprio destino. Nel segmento finale dell’ultimo quadro, l’Uomo in Nero, la Morte, dopo avere sconfitto il Bianco e il Rosso, metafora di due atteggiamenti antitetici nei confronti della vita, lentamente si acquieta dinanzi alla conturbante danza della sposa. La vita che si rinnova, la spericolatezza delle nuove generazioni si confrontano con la Morte che, però, vincerà sempre.

Piano da discutere
In questo lavoro gli attori, un critico e l’autore discutono sull’opportunità di un’opera teatrale. Se l’attrice  vuol dare priorità all’amore e l’attore alla parte eroica, il critico desidera invece compiacere il pubblico. L’autore, tuttavia, sostiene la libertà della creazione, che è diversa secondo le epoche, poiché non ci sono modelli assoluti. Nell’opera sono evidenti echi di Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, dramma la cui traduzione araba apparve nel 1967. Commenta il curatore: “L’eventuale influenza non va tuttavia sopravvalutata, molto diversa essendo l’atmosfera in cui si muovono i due autori” (p. 21). 

Satana predica
Nella pièce, molti sono i personaggi, tra cui il califfo ‘Abd al-Malik, che vuol possedere uno dei geni dotati di poteri soprannaturali che si trovano richiusi nelle bottiglie che giacciono in fondo al lago della “città di rame”. Il Califfo riesce a farsi rinnovare l’incantesimo e si ritrova con il suo seguito nella mitica città di rame, i cui abitanti sono tutti morti. Davanti agli occhi di ‘Abd al-Malik e degli altri, la gente riprende a vivere e tutto ricomincia dal momento in cui si era interrotto tanto tempo prima.

Vivere o morire
I protagonisti sono un giovane e una giovane che, come sottolinea V. Strika, “rappresentano l’uno, l’aspirazione a superare il condizionamento, l’altra il compromesso” (p. 18), a cui si affiancano un medico, un gigante, un mendicante e un altro personaggio che non si vede. In principio i due parlano della morte. Interviene il medico il quale nega la scienza per poi sconfinare nella critica politica. Quando il giovane chiede se abbia mai detto la verità sulla malattia a un politico, il dottore afferma di non averlo mai fatto per salvare la propria vita. Il gigante si propone quale mediatore tra il personaggio invisibile e il giovane, impedendo al secondo di uccidere il primo.  

Altre pubblicazioni:

All’ombra delle piramidi e moschee. Scritti e interviste
Datanews, Roma 2006, pp. 71.

Volume contenente alcune interviste in cui l’autore egiziano si racconta, oltre all’intervento da lui tenuto in occasione del conferimento del premio Nobel, nel 1988.  

I romanzi dell’antico Egitto
Roma, Newton & Compton Editori, 2009, pp. 336. v. La battaglia di Tebe-Akhenaton. Il faraone eretico-La maledizione di Cheope.

Naghib Mahfuz. Premio Nobel 1988
Saggio introduttivo e note bio-bibliografiche a cura di I. Camera d’Afflitto, Edizione speciale, Milano, UTET, 1991, pp. XXIV+479. In questa edizione sono stati ripubblicati i romanzi Il vicolo del mortaio - Il ladro e i cani, a cura di V. Colombo].

Il volume, uscito dopo l’assegnazione del Premio Nobel a Naghib Mahfuz, offre un ampio saggio critico sulla produzione letteraria del grande scrittore egiziano e include due opere dello stesso già pubblicate in Italia:  Il ladro e i cani (v.); Il vicolo del mortaio (v. Vicolo del mortaio). 

Studi in onore di Nagib Mahfuz premio Nobel per la letteratura 1988 in “Oriente Moderno”, Nuova serie, Anno VII (LXVIII), N. 10-12 (Ottobre-Dicembre 1988).

Il fascicolo contiene i contributi offerti da arabisti italiani in occasione di una seduta congiunta dell’Istituto per l’Oriente “C.A. Nallino” e l’Accademia d’Egitto a Roma “per illustrare gli aspetti dell’opera di Mahfuz, e il suo rapporto con la narrativa europea che più ha influito nella sua ispirazione ed evoluzione”, come sottolinea Francesco Gabrieli nella nota di apertura.
I contributi sui vari aspetti della letteratura di Mahfuz sono preceduti da una presentazione di G. Oman, allora presidente dell’Istituto per l’Oriente.

F. Gabrieli, In occasione del premio Nobel a Nagib Mahfuz;
D. Amaldi, Nagib Mahfuz: dalla giovinezza alla maturità;
V. Strika, Nagib Mahfuz e Kafka;
I. Camera d’Afflitto, Mahfuz: mediterraneità, non esotismo;
Nagib Mahfuz. Note bio-bibliografiche (a cura di V. Grassi).  

Racconti apparsi in varie pubblicazioni:

Il paradiso dei bambini, in L’altro Mediterraneo. Antologia di scrittori arabi del Novecento (a cura di V. Colombo), Milano, Mondadori, 2004, pp. 61-66.

Za‘balawi (trad. di E. Baldissera), in Narratori arabi del Novecento (a cura di I. Camera d’Afflitto),  2 voll., Milano, Bompiani, 1994, pp. 99-109.

Il Barman (trad. di C. Sarnelli Serqua), in Studi arabo-islamici in memoria di U. Rizzitano, Istituto di Studi arabo-islamici “Michele Amari” di Mazara del Vallo, Trapani, 1991, pp. 231-241.

Sotto la pensilina (trad. di D. Amaldi), in “Levante”, XXIII, 2 (1976), pp. 21-28.

Un giorno da leone (trad. di V. Giuliani), in “Levante”, XIII, 2 (1966), pp. 30-46. 

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